Dopo la proposta di esclusione per alcune categorie che svolgono attività gravose dal decreto che prevedrebbe l’ingresso all’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019, oggi PD, Governo e rappresentanze sindacali si sono riunite in dibattito per discutere sull’eventuale blocco – almeno temporaneo – dell’entrata in vigore del decreto.
Per quanto riguarda il partito di maggioranza, l’obiettivo è abbastanza chiaro: in vista delle elezioni politiche del 2018, il PD non vuole scoprire il fianco a facili critiche da parte delle opposizioni durante la prossima campagna elettorale, e oggi sembra aver fatto il primo, decisivo, passo verso il rinvio dello scatto.
Scatto che arriverebbe come conseguenza della pubblicazione degli ultimi dati ISTAT sull’aspettativa di vita, che ad oggi è pari a 82,8 anni e che quindi farebbe automaticamente aumentare di cinque mesi l’età minima per andare in pensione. Si passerebbe insomma dai 66 anni e 7 mesi di oggi ai 67 nel 2019.
Rinvio pensione a 67 anni: linea moderata del PD, più radicali le minoranze
Se da un lato la strategia del PD pare abbastanza evidente (l’emendamento firmato da D’Adda chiede il rinvio di soli sei mesi, rimettendo quindi tutte le responsabilità alla prossima legislatura), ben più radicali sono le richieste delle minoranze. La Lega ha presentato un emendamento che prevede il blocco degli scatti fino al 2022, mentre MoVimento 5 Stelle e Sel (con benestare di Mpd) si spingono addirittura fino al 2022.
Anche il comportamento delle minoranze sembra tuttavia essere giustificato dall’imminente campagna elettorale che le vedrà impegnate per la corsa alle politiche della prossima primavera. D’altronde, il PD ha tutto da perdere ma non è solo in questa gara al ribasso: gli altri due poli, quello a 5 stelle e quello del centro destra, secondo gli ultimi sondaggi hanno il favore di 1/3 dell’elettorato cadauno.
E commettere proprio ora un passo falso su un tema caldo come quello delle pensioni potrebbe pregiudicarne in maniera irreversibile la corsa a Palazzo Chigi.